La ragazza osservava distrattamente l’oliva del suo cocktail chiedendosi come tirarla fuori senza infilare un dito nel bicchiere, finchè decise di lasciarla dov’era. Posò il bicchiere sul tavolo e si girò. Fu allora che se lo trovò davanti. Un bel tipo, niente da dire. Strano non averlo notato prima, visto che era arrivata alla festa già da un paio d’ore. Lui le sorrise, senza staccare gli occhi dalla sua faccia; due occhi che sembravano leggerti dentro, tanto che lei per un attimo abbassò i suoi.
“Vuoi ballare?” La domanda la colse di sorpresa. Fu indecisa se trovare una scusa (Mi aspettano di là…No, banale. Oppure : Grazie, ma ho promesso ad un amico di…Peggio che mai, assolutamente improbabile e antiquato.) Fu tentata di dirgli la verità, e cioè che le scarpe coi tacchi le stavano strette e che non ci era abituata, ma non lo conosceva affatto, e parlare di piedi dolenti non era il massimo. Gli occhi di lui intanto erano diventati calamite, e si trovò a rispondere uno stupidissimo “OK”.
Si diressero verso la terrazza dove già alcune coppie assecondavano stancamente un ritmo lento, una bella canzone di Dionne Warwick. Lui le mise un braccio intorno alla vita e le prese la mano destra; lei posò la sinistra sulla sua spalla e avvertì la solidità di roccia di quelle spalle giovani e forti. Mossero i primi passi, e dopo qualche secondo successe una cosa strana : la musica cambiò. Lo stereo che fino allora aveva suonato la tipica serie di CD da festa in terrazza lasciò il posto ad un’orchestra di 80 elementi, che attaccò un valzer, dapprima in sordina e poi acquistando sonorità. Lei si trovò spiazzata: “Scusa, ma io questo non lo so ballare…forse è meglio se ci andiamo a sedere…” Lui sorrise, e lei pensò che le piaceva molto quel sorriso. “Non ti preoccupare – la rassicurò – solo chiudi gli occhi e lasciati andare. Ti porto io. Fidati!”
Lei si fidò. Chiuse gli occhi, si concentrò sull’immagine di lui che le si era stampata dentro, e si scordò di avere dei piedi impacciati e arrampicati su due tacchi scomodissimi. Fu un’esperienza unica; le sembrava di essere agile, leggera, di non avere limiti, di essere onnipotente. Provava una sicurezza che niente avrebbe potuto scuotere, volteggiava tra le sue braccia e si sentiva felice, appagata.
La musica non era ancora finita quando lei lo guardò e sembrò ricordarsi che non sapeva neanche il suo nome. “Non mi lasciare mai” gli disse. “Non c’è pericolo – rispose lui tenendola stretta. Starai sempre con me”.
E l’anima e il suo Dio continuarono a ballare per l’eternità.
7 commenti:
grande Biancaneve! che potenza espressiva che hai... è un racconto splendido.
Entro in punta di piedi nella casa dei sette nani, per dirti che è bellissimo riposare qui anche solo pochi minuti al giorno.
Il racconto è bellissimo. Posso segnalarlo a un paio di persone?
per Elisabetta
Benvenuta! Fai quello che vuoi, sei a casa tua!
Grazie per il racconto. Qui io divento un alunno.
Una volta si usava fare visita ai nuovi vicini, per cui ho pensato di fare un saluto: benvenuta nel mio vicinato! Bella casa, complimenti! E questi "nani", poi...
Mi piace Sghiciarmi (termine che identifica la mia persona)come un bradipino sull'uscio della porta di casa tua e fare la guardia per vedere arrivare i tuoi nani che giungeranno in queste ore...
Sento un odore che viene dalla cucina...e guarda!tutti gli animali del bosco intorno alla casa, sentono il calore dell'affetto della casa!
Russolo
per prof 2.0
Io sono ancora a fare le aste della scrittura. Ma come diceva Alberto Manzi in un programmaTV degli anni 60 " Non è mai troppo tardi " (era un corso di istruzione popolare per adulti analfabeti)
per don Mario
mi piacerebbe ricambiare la visita; mi dai un indirizzo?
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