martedì 22 aprile 2008

Pecore

Quando i nani erano piccoli (ma anche fino a qualche anno fa) la mitica zia M. (in realtà una prozia) riuniva tutti i nipoti e faceva con loro le pecore di pasta di mandorle da mangiare a Pasqua. L’organizzazione era perfetta: lo stampo di gesso infarinato. i pennelli con i coloranti rosso e marrone, le basi di cartoncino su cui poggiare il prodotto finito... Ma i bambini – si sa – non amano le cose belle rassettate, e perciò ognuno di loro “personalizzava” la sua pecora nelle maniere più strane: c’erano pecore milaniste a strisce rossonere (ma solo perché non era disponibile l’azzurro!), altre con un cappellino conico, altre con particolari morfologici strani, tipo corni o proboscidi o megaorecchie. Questi ultimi esemplari dalle forme fantasiose venivano genericamente chiamati “mufloni”, forse perché nessuno ha mai saputo come fosse fatto nella realtà un muflone. Le pecorelle venivano poi messe da parte in attesa del giorno di Pasqua (l’operazione avveniva in genere il giovedì santo, primo giorno di vacanza dalla scuola), e poi sbocconcellate, essendo dolcissime e quindi sdegnose da mangiare intere. Avveniva però che - passato lo sfizio di assaggiarle – i monconi di pecora restassero in attesa di essere consumati, diventando col passare dei giorni simili a sculture postmoderne di alabastro. Per questo nel lessico familare della casetta del bosco quando qualcosa resta per giorni senza che nessuno se la mangi (l’ultima fetta di panettone ai primi di febbraio, o il sacchetto di confetti di laurea, per esempio) si suole dire che si è “muflonizzato”. Biancaneve pensa che a volte corriamo il rischio di muflonizzare anche i valori, se li lasciamo a rinsecchirsi senza sforzarci di viverli.

5 commenti:

Prof 2.0 ha detto...

Cara Biancaneve,
pensa quando a muflonizzarsi sono le persone... Smettono di sperare, non vedono più il futuro e si cristallizzano per non sentire più il dolore di una vita non vissuta in pienezza, pensando che avere l'alabastro al posto della carne, faccia meno male...

biancaneve ha detto...

Caro Prof,
quando il panettone si secca, l'unica è immergerlo nel caffellatte. Forse le persone bisognerebbe immergerle in qualcosa altro, che so... nell'affetto?

Anonimo ha detto...

ah, il panettone nel caffelatte è buonissimo...dallo schifo che è quando diventa secco...l'amore addolcisce tutto e rende ogni cosa più soffice e piacevole...
L'importanza di andare per mare con la chiarezza di una rotta decisa, quando al fianco hai qualcuno che pensa a farti luce di notte con un bel faro!

Russolo

Anonimo ha detto...

Biancaneve,
non pensi che quando cominciamo a chiamare “valore” quello che è buono, lo abbiamo già “muflonizzato”?

biancaneve ha detto...

Caro anonimo, quello che è buono resta buono a prescindere da come lo chiami, ed è perenne, quindi vale anche quando le parole vanno in disuso per lasciare il posto a termini più di moda. Io cerco di non avere paura delle parole.