“Momo sapeva ascoltare in tal modo che ai tonti, di botto, si affacciavano alla mente idee molto intelligenti. Non perché dicesse o domandasse qualcosa atta a portare gli altri verso queste idee, no; lei stava soltanto lì e ascoltava con grande attenzione e vivo interesse. Mentre teneva fissi i suoi vividi grandi occhi scuri sull’altro, questi sentiva con sorpresa emergere pensieri – riposti dove e quando? – che mai aveva sospettato di possedere. Lei sapeva ascoltare così bene che i disorientati o gli indecisi capivano all’improvviso quello che volevano. Oppure i pavidi si sentivano, a un tratto, liberi e pieni di coraggio. Gli infelici e i depressi diventavano fiduciosi e allegri. E se qualcuno credeva che la sua vita fosse sbagliata o insignificante, se credeva di essere soltanto una nullità fra milioni di persone, uno che non conta e che può essere sostituito, e andava lì, e raccontava le proprie angustie alla piccola Momo, ecco che, in modo inspiegabile, mentre parlava gli si chiariva l’errore; perché lui, proprio lui, così com’era, era unico al mondo e quindi, per la sua peculiare maniera di essere, individuo importantissimo per il mondo. Così sapeva ascoltare Momo”. (Michael Ende, “Momo”).
Perché, si chiede Biancaneve, è così difficile ascoltare così chi ci sta accanto?
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